La Grande Guerra
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Le ragioni della Leggenda
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Brigata Sassari
La  Brigata Sassari pagò alla guerra oltre 13.000 uomini (3817 caduti e 9104 tra feriti e mutilati), caddero 138 Sassarini ogni 1000 incorporati (la media nazionale fu di 104), fra le decorazioni  6  furono all’Ordine Militare di Savoia, 9 le Medaglie d`Oro, 405  d`Argento e 551 quelle di Bronzo. Queste considerazioni rappresentano il riconoscimento del valore individuale dei sardi che si batterono all`ombra delle due gloriose Bandiere, ciascuna delle quali venne decorata, caso rimasto unico nel nostro Esercito, con 2 Medaglie d`Oro al V.M. nell`arco di una sola campagna di guerra. Con questo animo si arrivò a conquistare la Trincea dei Razzi, sulla piana di Doberdò nell’autunno del 1915.
A questo punto alcune domande finiscono di rimanere tali e sento di aver avuto comunque delle risposte. Ma dando per ovvio il fatto che niente al mondo è più assurdo e tragico di uomini che si combattono sino alla morte, voglio riportare le circostanze di quella guerra a un’analisi di numeri primi. Voglio eliminare cioé quei fattori specifici che facevano forse del nostro esercito un “esercito di dilettanti”, ma che erano comunque comuni a tutti i soldati. Parlo della nota scarsità dei rifornimenti, dell’inefficienza e carenza degli armamenti, delle dotazioni personali dei soldati (i nostri rimasero per mesi senza un cambio completo di vestiario), dei riposi negati e dell’alimentazione a volte insufficiente. (Da tutti è riportato che alla Sassari il cibo non è mai mancato, anzi si  è sempre parlato di abbondanza). 
Mi riferisco anche alla visione ormai obsoleta con la quale lo stato maggiore guidava le truppe, e questo dal livello più basso sino alle strategie generali dei piani di guerra. Lo scopo è quello di concentrare l’attenzione solo sull’uomo in trincea, sul contadino, sul pastore che non aveva mai visto neanche Cagliari, e che si ritrova ora in una guerra sconosciuta e non sentita, che però combatte forse al meglio delle sue possibilità. Tutto accadde con un Comando Militare, perlomeno fino alla sostituzione di Cadorna con Diaz, che quasi disprezzava l’uomo soldato considerato alla stessa stregua di un moschetto, di una granata, di un tubo di gelatina. (1)
Da tanti la Grande Guerra fu definita una guerra "di materiali", ovvero l`importanza della logistica e la dotazione di armamenti e tutti i servizi di supporto superò le regole dettate dalla Scuola di Guerra di stampo ottocentesco. Solo il soldato rimase a far parte di quelle ormai obsolete regole che lo vedevano come un mero strumento, un supporto per il moschetto: nel 1915 l`uomo era del tutto sacrificabile, a priori, a prescindere da qualsiasi considerazione di ordine morale.
Riporta Alfredo Graziani questa nota: "La disperata resistenza eroicamente sublime opposta dalla «Sassari» insieme ai residui dei battaglioni alpini, dal 5 al 9 giugno 1916, sulle posizioni di M. Fior e M. Castelgomberto, ha veramente salvato l`Italia. Guai! Guai per noi se in quelle tremende giornate non si fossero trovate su quei luoghi le mostrine bianco-rosse dei «sassarini» e le ammirevoli fiamme verdi dei nostri alpini, perchè ci voleva della gente decisa a farsi massacrare, pur di non cedere un millimetro. Aveva pienamente ragione il Colonnello Stringa, quando, rivolto ai nostri, diceva: «Quassù ci aspetta l`onore di sbarrare al nemico le porte d`Italia!» Lo avevano ben capito i fanti della «Sassari» e glielo aveva predicato il Comandante la Divisione, Tenente Generale Elia, il quale, la mattina del 3 giugno, al 3° Battaglione del 152° che si avviava su per la Val Sugana aveva parlato, dicendo fra l`altro: ...«in un Consiglio di Guerra tenuto ieri presso il Comando Supremo, si è richiesta una Brigata ad arginare la piena, una sola brigata, la migliore che abbia l`Esercito Italiano. La voce unanime di tutti i presenti ha risposto: «la Brigata "Sassari"».
Ma ... se Cadorna ha sentito il dovere di ricordare le azioni della Brigata nei bollettini del 6, 7, 8, 9, giugno del 1916, ha certo dimenticato il nome di chi quelle epiche azione compiva, nel nome della Patria. Non è arrivato mai a capire, il Capo, che fare dei nomi, in quei casi, significa creare altrettanti eroi, ma questo non è entrato nel sistema. Già, per lui, disgraziatamente, il soldato non è più un uomo, è il "materiale uomo". E` stato, a parer mio, il suo torto maggiore. Non ha capito gli uomini, volendoli troppo materializzare
.
"
(2)
Solo la gerarchia informale (3)  permise alla Brigata Sassari di evitare altre inutili perdite umane e al contempo di ottenere quelle vittorie, sì vittorie, non le voglio più chiamare “risultati”, che hanno scritto, sono convinto senza alcunché di preordinato, un importante capitolo della storia del nostro paese.  In tante narrazioni dei reduci si sostiene che quella guerra fu una “macelleria”, e il sardo era la “carne da macello” per elezione.
Sempre Alfredo Graziani riporta queste considerazioni:
" Cadorna ignora che siamo tutti nati dalla stessa terra; o noi, grigio-verdi, siamo davvero carname da macello?
Aveva proprio ragione un alto Ufficiale che apparteneva al Comando Supremo, del quale evidentemente rifletteva il pensiero, nel definire i Fanti come «i sacchetti a terra della Nazione».
Purtroppo è proprio così! Carnaccia da cannone, siamo!
Noi non ce ne vogliamo ancora persuadere, per quanto ce lo dicano e ripetano in tutti i toni!
Non hanno istituito a Mantova un deposito, che hanno avuto il fegato di chiamare: « Deposito rifornimento materiale uomini»?
A me, quando, per la prima volta, ho sentito la denominazione strana ed  offensiva, emanata dai cervelli del Comando di Udine, a me è parso di ricevere un pugno in pieno petto. Materiale siamo! Altro che Ideali, altro che amor patrio, altro che nobiltà di sentire! Noi non possiamo essere suscettibili di sensibilità morale! Siamo materiale umano. Ci ha definito così il Comando Supremo. Siamo sacchetti a terra della Nazione, noi, poveri Fanti!  Ci trattano e ci bistrattano, ci demoralizzano, ci riempiono l`anima di rancore, ci vogliono abbeverare di odio; tuttavia la ricchezza del nostro patrimonio morale ci fa levare alta la testa di fronte a chiunque! Il Fante, con i suoi cenci e con i suoi pidocchi, è sempre la Patria e la Storia non si cancella con quattro circolari."
 Non si può mettere in dubbio la realtà e la dolorosa origine di questa visione, ma è necessario trarne, per l’obiettivo di queste pagine, anche una valutazione ripulita da quella che posso ritenere una debolezza centenaria della nostra gente: l’autocommiserazione.
Tutto l’esercito subì, in linea di massima,  lo stesso trattamento; tutti furono mandati incontro alle trincee nemiche con minime speranze di salvezza, in troppi vi trovarono la morte, non solo i nostri soldati. Ma certo non tutti ottennero le loro vittorie. Eliminiamo quindi questi aspetti comuni e concentriamo l’attenzione sulle specificità, sulla diversità della nostra partecipazione alla Grande Guerra. Mi piace anche porre l’accento sull’opportunità che la Brigata Sassari ha dato ai sardi di allora, in termini di crescita sociale, nella formazione di uno spirito di appartenenza sino ad allora sconosciuto. Per la prima volta si incontrarono sardi di tutti i paesi dell’isola, e si incontrarono in un contesto che non fece altro che fortificare il sentimento di sardità che è innato in ognuno di noi.

Questo “unicum” differenziatosi poi in seno all’esercito anche in funzione delle vittorie raggiunte, certo è stato il “filo rosso” che ha consentito alla Brigata di salvarsi, per esempio, dal disastro di Caporetto. In quel frangente, in assenza di un piano particolareggiato di gestione della ritirata, solo lo spirito di corpo ha tenuto insieme i Sassarini e ha permesso che tutta la Brigata, unico esempio, si salvasse e si distinguesse nella catastrofe di quei giorni, avviandosi in direzione sud-ovest, mi piace pensare verso casa,  in direzione Sardegna, verso la salvezza del  Piave.

Ripulendo la memorialistica di guerra di quell’enfasi propria degli autori e del periodo, ritengo che l’agire dei fanti di Sardegna  possa essere visto come una sorta di eroismo collettivo, e comunque un eroismo loro malgrado. Che trae  origine dai mille piccoli atti di quotidiana incoscienza, da una vita di trincea che si ripete, simile ogni giorno, e che fece pensare “… questa guerra non finirà mai!”: l’attesa, l’artiglieria che prepara il terreno …, il balzo, l’assalto in massa con la baionetta inastata, le ondate umane che cercano, come flutti testardi, di erodere ripetutamente le difese nemiche. Leonardo Motzo  riporta, con scrupolo, queste operazioni: pochi fanti, in squadre affiatate, sono guidati da ufficiali che si fanno ubbidire con il solo sguardo.
Le doti naturali di questi uomini, figli del mondo agro-pastorale e ora combattenti, si esplicano nella più cruda delle attività: sottrarre la vita al nemico o soccombere. Questa dinamica poi si accresce nel tempo, la necessità acuisce la risposta del soldato che parte da una già personale confidenza con la natura, così il gruppo si fa difesa, si fa attacco, si fa salvezza.

 In questo territorio costituito sempre da alterne “terre di nessuno” si attenua il formalismo militare, che traeva la sua ragione e forza dalla distanza tra chi comanda e chi deve ubbidire. In questo territorio la statura dell’uomo, non è solo fisica, anzi non è affatto fisica, ma è intesa nel solo valore effettivo del singolo, all`interno di un gruppo, e nella fiducia che ogni guida si conquista, nell’esempio dell’ufficiale che va all’assalto con la sola pistola o la sciabola. Sulle coste di quei monti si poterono incontrare Emilio Lussu, Alfredo Graziani, Giuseppe Musinu, Leonardo Motzo, Giuseppe Tommasi, Sardus Fontana, Francesco Dessì, figli anch’essi di questa Sardegna “madre mediterranea” che forse li pose sul quel cammino per vegliare sui fratelli.

Queste figure di ufficiali si stagliano ancora alte nel ricordo che i sardi hanno di quei giorni: essi contribuirono in prima persona alla costruzione di quella struttura organica informale che si rivelò l’arma vincente della Brigata. Così diventa ora inutile ricercare il perché della costituzione di una nuova Brigata, se proprio nel reclutamento regionale possiamo individuare quella forza che permise alla Brigata di fornire quell’enorme contributo alla vittoria finale. Ma ancora di più venire a sapere che la sardità della Brigata ha forse limitato il numero di caduti annoverati sul Bollettino Storico, perché, considerati i giorni trascorsi in prima linea e i teatri dei combattimenti, la già alta percentuale di perdite, 13.8% contro la media del 10,4%, avrebbe potuto raddoppiare.
Il reclutamento dei sardi in una milizia mobile come la nuova Brigata ha fatto sì che gli ufficiali fossero in gran parte di complemento, giovani e ancora distanti dalle gerarchie militari e comunque da queste non permeati, questo aspetto fondamentale li fece rivolgere favorevolmente verso la truppa, e il fatto poi che la truppa fosse tutta sarda fece il resto, fece la storia.  E si deve considerare che nella Brigata i disagi della trincea si sopportavano in comune, questo avvicinava alla truppa gli ufficiali, che dividendo lo stesso fuoco nemico maturavano di persona la consapevolezza di un’assurda guerra dove non si sapeva più chi fosse il vero nemico.
  “Tale vita in comune rivelava ai combattenti sardi, ogni giorno, nozioni straordinarie che per loro erano nuove. Per la prima volta si rendevano conto che la guerra la facevano solo i contadini, i pastori, gli operai, gli artigiani. E gli altri, dov`erano! Il disprezzo per gl`imboscati raggiungeva da noi le vette più alte e, di tanto in tanto, si scopriva che dei plotoni interi mandavano cartoline d`insulto, con firma e indicazione del reparto, a imboscati celebri di cui circolavano i nomi. Che la guerra la si dovesse fare, non era questione. Ma perché il re l`aveva ordinata? Perché la facciamo? Questa domanda l`ho sentita migliaia di volte. I prigionieri che facevamo, austriaci, ungheresi, cechi, bosniaci, erano anch`essi tutti contadini e operai. Altra scoperta: anche dall`altra parte, la guerra la facevano i contadini e gli operai. E anche loro, perché la facevano?
Altra domanda che ho sentito migliaia di volte. Di qui, quel rispetto sacro per tutti i prigionieri, che mai, in nessuna parte del mondo, deve essersi rivelato più continuo: si offriva loro pane, vino e cognac, cioccolato, tutto il possibile. Altro fatto inaudito: per la prima volta essi avevano constatato, dal primo giorno di combattimento, e da allora sempre, che i colonnelli e i generali, considerati prima monumenti di autorità e di scienza, non capivano niente. Proprio non capivano nulla, tanto da sembrare che fossero là per errore e che il loro mestiere fosse un altro. Certe azioni poi, scellerate, senza senso logico né militare né comune, studiate apposta per far massacrare i soldati, inutilmente, rivelavano che il generale, in realtà, era il vero nemico. Ma chi comandava l`Italia? La critica militare si spostava elementarmente sul terreno politico. Il governo del re. Nel villaggio, il sindaco, il farmacista, l`esattore, il maresciallo, erano del partito del governo del re. Nemici anche loro? Tutti nemici. Inaudito. Il mito del re crollava.” 
(5)
      
Dall’analisi della letteratura sulla Brigata Sassari, e nello specifico dai testi di Leonardo Motzo,  Alfredo Graziani,  Emilio Lussu, Giuseppina Fois e qualche altro richiamo dalle memorie di Giuseppe Tommasi e Sardus Fontana, si trae inequivocabilmente una considerazione concorde per tutti questi “autori”. La Brigata Sassari diventò leggenda nel suo divenire, per le mille e mille azioni di quotidiano sacrificio dei suoi soldati, per quel loro agire diretto, spontaneo quasi naturale nel senso di non preordinato, non studiato, non calcolato.
Per quella sardità che rendeva il gruppo omogeneo nella fatica, nella disperazione, nell’abnegazione e nell’etica.
Per la gioia di una licenza che li inviava tutti nella stessa terra, per la felicità di vedere il commilitone in partenza per la Sardegna, per il suo ritorno.
 
Riporta Alfredo Graziani nel suo libro " Fanterie Sarde all`ombra del Tricolore":
" ...La licenza è volata!  Ce lo siamo chiesto quando ci siamo ritrovati a bordo. Come mai se n`erano andati via, così presto, quei sei giorni? Tuttavia, se ci dispiace di aver lasciato ancora le nostre famiglie per andar di nuovo incontro al destino, non ci dispiace di raggiungere l`altra grande famiglia in grigio-verde." (6)
Ancora Graziani: " Da ieri dunque sono fante; ussero, ma fante fra i fanti; e porto con fierezza i colori di "Piacenza" in mezzo a queste adorate mostrine bianco-rosse dei miei nuovi soldati. E` già arrivato il fonogramma del Corpo d`Armata: «Il Tenente Scopa, del Reggimento Cavalleggieri «Piacenza» (18°) passa, da questo momento, a prestar servizio alla «Brigata Sassari» conservando attributi e qualifiche di Ufficiale di Cavalleria, in seguito a concessione speciale del Comando Supremo». (7)
Questo era lo spirito degli Ufficiali e non diverso era quello dei fanti: l`attaccamento ai colori bianco-rossi, l`attaccamento alla Brigata derivava dal comune e reciproco sentimento di appartenenza alla stessa terra e a quella "tribù di Sardi" che " mantenian sos trinceramentos".     
E ancora, diventò leggenda per il fato, la fortuna o la disgrazia di avere partecipato, non unica, agli scontri più gravosi e nel contempo assolutamente decisivi per le sorti di un conflitto certo non sentito, ma nel quale fecero comunque la loro parte sino in fondo.
Per la ricerca di una parvenza di serenità fra una battaglia e l’altra, che portava la Brigata a organizzare tornei di calcio, a preparare “bardane”, nelle quali forse in tanti erano maestri, oltre le linee nemiche per “ottenere” delle cavalcature per i palii da organizzare tra i diversi paesi dell’isola, e non mancarono neanche le scorrerie contro le altre unità del regio esercito, per poi banchettare a base di carne fresca. Si misero in atto anche delle spedizioni notturne a discapito dei nostri magazzini nelle retrovie, per fare un spuntino fra “cumpanzos” (8)
 .
L’unico agire e pensare della Brigata non si è limitato a incidere, in maniera determinante (9) , sulla vittoria finale, ma fece anche sì che tra i reduci di quei quattro anni d’inferno, si stabilisse una forza nuova, di coesione, una nuova univoca voce di rivendicazione delle proprie prerogative di cittadini del regno, cittadini già soldati, che pagarono alla nuova Italia un tributo di sangue unico.
Voglio concludere questa parte riproponendo le riflessioni di Emilio Lussu, che di quella forza nuova fu il fondatore:
 Tutte queste esperienze fatte lentamente, ma inesorabilmente, dai sardi della Brigata, esplosero in qualche occasione fino a rasentare l`ammutinamento. E quelle furono ore difficili. Nei giorni di depressione maggiore, quando i morti erano troppi e bisognava ricominciare da capo una guerra che sembrava non dovesse ormai aver più fine, era sempre il richiamo alla Sardegna che rianimava tutti. Per rendere meno triste uno di questi giorni, sull’altipiano di Asiago, dopo un combattimento in cui tanti erano caduti, il comandante della Divisione, alla Brigata a riposo nel fondo di una vallata, faceva ogni pomeriggio suonare la banda. Ma pareva che la banda suonasse canti funebri, tale era il disinteresse di tutti che rimanevano sparpagliati sulle colline circostanti, a piccoli gruppi, ognuno cantando le melopee del villaggio. Per suggerimento d’un gruppo d’ufficiali, fu fatto venire d’urgenza lo spartito del ballo tradizionale sardo e, senza preavviso, la banda lo suonò.
In un attimo, dalle cime, si precipitò nel fondo valle tutta la Brigata, quattro o cinquemila uomini apparvero, stretti gli uni agli altri, esaltarsi in un trasporto di cui è difficile dire se fosse gioia o dolore. Senza queste premesse, non si comprende il movimento dei combattenti sardi nel dopo-guerra, che dette subito vita al Partito Sardo d`Azione. Non fu propriamente un movimento di reduci, come fu quello dei combattenti in tutta Italia. Fin dal primo momento, fu un generale movimento popolare, sociale e politico, oltre la cerchia dei combattenti. Fu il movimento dei contadini e dei pastori sardi. Perciò, in una xilografia di Mario Delitala, i quattro mori della bandiera dei combattenti, che fu poi la stessa del P. S. d`A. e che si inspirava all`emblema della Sardegna, erano sostituiti da quattro lavoratori: un pastore, un contadino, un pescatore e un minatore.
Fu nell`Isola, un movimento universale, che cominciò col conquistare subito anche tutta quella gioventù che non aveva fatto a tempo a partecipare alla guerra, e creò la lotta politica, in tutti i centri, non escluso neppure il più piccolo, neppure i più sperduti stazzi della Gallura, e entrò anche nelle città. Il Partito Socialista, in trent` anni, era rimasto limitato a Carloforte, alle miniere dell`Iglesiente, ai sugherieri di Tempio, con scarsa organizzazione a Cagliari, Sassari, Nuoro. Il movimento dei combattenti era tutta l`Isola. I combattenti formarono subito, in ogni Comune, una Sezione, ma la Sezione era nello stesso tempo qualcosa come Lega e Camera del Lavoro.
Tutti uniti, i combattenti di tutte le formazioni, e con essi le loro famiglie e in più gli altri, contadini, pastori, operai, artigiani, che non avevano fatto la guerra, fecero crollare subito l`organizzazione dominante di clientele elettorali che avevano dato, fino ad allora, la rappresentanza ufficiale dell`Isola, durante la Destra e la Sinistra storica Amministrazioni comunali messe in crisi, occupazione di terre incolte, agitazioni di coltivatori diretti, scioperi di braccianti, scioperi di pastori salariati (a nostra conoscenza, i primi che si fossero avuti in ogni paese), l`agitazione contro il baciamano residuo feudale, costituzione di cooperative agricole, casearie e di piccoli pastori, e di consumo, furono fatti seguitisi senza interruzione l`uno all`altro. La riforma agraria costituiva la prima istanza. Quando Giolitti, dopo gl`incidenti di Ancona, tentò levare in Sardegna battaglioni volontari per l`Albania, i combattenti si opposero: niente più guerre.  ….”.
(10)


(1)  Alfredo Graziani, op. cit. p. 191.
(2)  Ibidem, p. 191.
(3)  Alfredo Graziani, op. cit. pp. 166-167.
(4)  Emilio Lussu, op. cit. p. 62.
(5)  Emilio Lussu, La Brigata Sassari e il Partito Sardo d`Azione, in
«Il ponte», a. Vili, n. 9-10, settembre-ottobre 1951.
(6)  Alfredo Graziani, op. cit. p.   93
(7)  Alfredo Graziani, op. cit. p. 103
(8)  Emilio Lussu, op. cit. pp. 220-222.
(9)  Alfredo Graziani, op. cit. p. 191.
(10)  Emilio Lussu, La Brigata Sassari e il Partito Sardo d`Azione, in «Il ponte», a. Vili, n. 9-10, settembre 1951.

è un'idea di Roberto Pilia
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